Il saggio ripercorre la vicenda del Piano per la Valle d’Aosta proposto da un gruppo di architetti coordinati da A. Olivetti, esposto nel 1936 alla Triennale di Milano, nel 1937 alla Galleria di Roma e pubblicato nel 1943 con uno scritto dello stesso Olivetti e la Prefazione di R. Zveteremich. La particolarità di questa esperienza risiede nel fatto che la pianificazione non viene intesa come risolvibile solamente a livello del piano regolatore della singola città, ma chiamando in causa un’intera Regione con la finalità di formare uno spazio economico e sociale, architettonicamente costruito attraverso l’urbanistica che è, secondo gli estensori del Piano la «disciplina che traduce in pratica il pensiero politico». Sulla scorta dei dati relativi alla condizione generale della Valle (la natura, la struttura geofisica, la diffusione e il numero della popolazione oltre al fenomeno dello spopolamento montano, le industrie, i segni forti della romanizzazione del territorio, la situazione igienico-sociale, il problema della carenza della rete stradale, nonché la situazione contemporanea del turismo e delle strutture atte alla ricezione dello stesso), il piano focalizza il proprio sguardo su cinque aree, individuate come strategiche: il versante italiano del Monte Bianco con il centro di Courmayeur su progetto di G. Pollini e L. Figini; la conca del Breuil su progetto di L. B. di Belgiojoso e P. Bottoni; la stazione di Pila e la città di Aosta entrambi progetti di G. L. Banfi, E. Peressutti e E. N. Rogers e il piano per un nuovo quartiere a Ivrea di G. Pollini e L. Figini. Ciò che più è parso utile sottolineare all’autrice è, a parte l’incomprensione rispetto all’architettura montana tradizionale, bollata tout court come da rifiutare, manifestata in particolare modo dagli architetti Figini e Pollini, l’interesse dimostrato dagli architetti Banfi, Peressutti e Rogers per la struttura della città di fondazione romana di Aosta e per la possibilità di usare frammenti di essa decostruiti tanto nel progetto del nuovo (la stazione di Pila), quanto per l’intervento sulla città stessa. Non sono quindi queste operazioni, sebbene certamente prevedano nel caso di Aosta la perdita del tessuto storico edificato a sola esclusione dei monumenti, prive di una relazione con i temi della memoria e quindi del restauro. Il piano per Aosta, letto insieme a quello per Pila, ma anche insieme a quello per Breuil - se si guarda con attenzione l’impianto previsto, nel quale quei pezzi dell’elenco derivato dalla città di romana appaiono più dispersi, ma nuovamente presenti - mette in chiaro come il progetto intenda la storia non come diacronia, ma come tempo simbolico che riconnette figure distanti, scegliendo e dunque anche eliminando quelle scartate. Le proposte insite in questi tre piani, non attuate e forse non attuabili, contengono proprio in questa loro virtualità, secondo la scrivente, un’enorme potere se rilette oggi, potere che è quello di mettere comunque in evidenza un’identità della città di Aosta, quella fondativa, che non può e non deve essere mai dimenticata e che può essere letta, una volta resa chiara così come la rendono nel loro progetto Banfi, Peressutti e Rogers, anche non demolendo la città che le si è nel tempo stratificata sopra.

Il piano per la Valle d'Aosta, 1936: l'equilibrio difficile tra conservazione e demolizione / Occelli, Chiara Lucia Maria - In: Per una storia del Restauro Urbano. Piani, strumenti e progetti per i Centri storici / M. Giambruno (a cura di). - STAMPA. - MILANO : Città Studi Edizioni, 2007. - ISBN 9788825173086. - pp. 53-66

Il piano per la Valle d'Aosta, 1936: l'equilibrio difficile tra conservazione e demolizione

OCCELLI, Chiara Lucia Maria
2007

Abstract

Il saggio ripercorre la vicenda del Piano per la Valle d’Aosta proposto da un gruppo di architetti coordinati da A. Olivetti, esposto nel 1936 alla Triennale di Milano, nel 1937 alla Galleria di Roma e pubblicato nel 1943 con uno scritto dello stesso Olivetti e la Prefazione di R. Zveteremich. La particolarità di questa esperienza risiede nel fatto che la pianificazione non viene intesa come risolvibile solamente a livello del piano regolatore della singola città, ma chiamando in causa un’intera Regione con la finalità di formare uno spazio economico e sociale, architettonicamente costruito attraverso l’urbanistica che è, secondo gli estensori del Piano la «disciplina che traduce in pratica il pensiero politico». Sulla scorta dei dati relativi alla condizione generale della Valle (la natura, la struttura geofisica, la diffusione e il numero della popolazione oltre al fenomeno dello spopolamento montano, le industrie, i segni forti della romanizzazione del territorio, la situazione igienico-sociale, il problema della carenza della rete stradale, nonché la situazione contemporanea del turismo e delle strutture atte alla ricezione dello stesso), il piano focalizza il proprio sguardo su cinque aree, individuate come strategiche: il versante italiano del Monte Bianco con il centro di Courmayeur su progetto di G. Pollini e L. Figini; la conca del Breuil su progetto di L. B. di Belgiojoso e P. Bottoni; la stazione di Pila e la città di Aosta entrambi progetti di G. L. Banfi, E. Peressutti e E. N. Rogers e il piano per un nuovo quartiere a Ivrea di G. Pollini e L. Figini. Ciò che più è parso utile sottolineare all’autrice è, a parte l’incomprensione rispetto all’architettura montana tradizionale, bollata tout court come da rifiutare, manifestata in particolare modo dagli architetti Figini e Pollini, l’interesse dimostrato dagli architetti Banfi, Peressutti e Rogers per la struttura della città di fondazione romana di Aosta e per la possibilità di usare frammenti di essa decostruiti tanto nel progetto del nuovo (la stazione di Pila), quanto per l’intervento sulla città stessa. Non sono quindi queste operazioni, sebbene certamente prevedano nel caso di Aosta la perdita del tessuto storico edificato a sola esclusione dei monumenti, prive di una relazione con i temi della memoria e quindi del restauro. Il piano per Aosta, letto insieme a quello per Pila, ma anche insieme a quello per Breuil - se si guarda con attenzione l’impianto previsto, nel quale quei pezzi dell’elenco derivato dalla città di romana appaiono più dispersi, ma nuovamente presenti - mette in chiaro come il progetto intenda la storia non come diacronia, ma come tempo simbolico che riconnette figure distanti, scegliendo e dunque anche eliminando quelle scartate. Le proposte insite in questi tre piani, non attuate e forse non attuabili, contengono proprio in questa loro virtualità, secondo la scrivente, un’enorme potere se rilette oggi, potere che è quello di mettere comunque in evidenza un’identità della città di Aosta, quella fondativa, che non può e non deve essere mai dimenticata e che può essere letta, una volta resa chiara così come la rendono nel loro progetto Banfi, Peressutti e Rogers, anche non demolendo la città che le si è nel tempo stratificata sopra.
2007
9788825173086
Per una storia del Restauro Urbano. Piani, strumenti e progetti per i Centri storici
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