Tra gli intellettuali architetti della sua generazione l’intreccio di teoria dell’architettura e pratica dell’architettura è stato una costante, ed ha prodotto i testi instauratori e le architetture caposaldo della seconda metà del Novecento italiano. Testi e architetture che gli ultimi vent’anni hanno rapidamente consegnato agli archivi, nelle scuole come nelle città. Nulla sembra restare utile – se non storicamente utile – di quella esperienza collettiva a due generazioni che hanno visto a partire dagli anni Novanta dissolversi le “scuole” dell’architettura italiana ed internazionalizzarsi (o meglio de-nazionalizzarsi) come mai la scena e le gerarchie dell’architettura, ridefinirsi codici e forme della pratica professionale e del rapporto tra professione e pubblico, esplodere e implodere i mercati della costruzione e dell’immobiliare, cambiare infine quasi etnograficamente il rapporto tra società e architetture. E’ però proprio all’interpretazione di questa “grande trasformazione” che occorre ancora lavorare, guardando agli strumenti che il lavoro storico di Roberto Gabetti ha costruito sulle scansioni del Settecento, dell’Eclettismo, del primo Moderno, della Ricostruzione: con la capacità di leggere in edifici e disegni una fenomenologia delle trasformazioni dei modi di produzione, dell’organizzazione del lavoro, dei processi decisionali, infine della società stessa oltre le culture artistiche e professionali. Capacità concretizzata in architetture e spazi in alcune delle opere di Gabetti & Isola che più di altre contengono una lezione di metodo utile oggi ad orientarci oltre le colonne d’Ercole del secolo breve.

Un secolo dopo, Roberto Gabetti / Robiglio, Matteo - In: Ricominciare da Roberto Gabetti / C. Olmo. - STAMPA. - Torino : Allemandi, In corso di stampa.

Un secolo dopo, Roberto Gabetti

ROBIGLIO, MATTEO
In corso di stampa

Abstract

Tra gli intellettuali architetti della sua generazione l’intreccio di teoria dell’architettura e pratica dell’architettura è stato una costante, ed ha prodotto i testi instauratori e le architetture caposaldo della seconda metà del Novecento italiano. Testi e architetture che gli ultimi vent’anni hanno rapidamente consegnato agli archivi, nelle scuole come nelle città. Nulla sembra restare utile – se non storicamente utile – di quella esperienza collettiva a due generazioni che hanno visto a partire dagli anni Novanta dissolversi le “scuole” dell’architettura italiana ed internazionalizzarsi (o meglio de-nazionalizzarsi) come mai la scena e le gerarchie dell’architettura, ridefinirsi codici e forme della pratica professionale e del rapporto tra professione e pubblico, esplodere e implodere i mercati della costruzione e dell’immobiliare, cambiare infine quasi etnograficamente il rapporto tra società e architetture. E’ però proprio all’interpretazione di questa “grande trasformazione” che occorre ancora lavorare, guardando agli strumenti che il lavoro storico di Roberto Gabetti ha costruito sulle scansioni del Settecento, dell’Eclettismo, del primo Moderno, della Ricostruzione: con la capacità di leggere in edifici e disegni una fenomenologia delle trasformazioni dei modi di produzione, dell’organizzazione del lavoro, dei processi decisionali, infine della società stessa oltre le culture artistiche e professionali. Capacità concretizzata in architetture e spazi in alcune delle opere di Gabetti & Isola che più di altre contengono una lezione di metodo utile oggi ad orientarci oltre le colonne d’Ercole del secolo breve.
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Ricominciare da Roberto Gabetti
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