La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n.20 del 23 ottobre 2000, Water Framework Directive (WFD), istituisce un quadro per l’azione comunitaria per la gestione integrata della risorsa idrica e indica come unità territoriale di riferimento il bacino idrografico. Le politiche dell’acqua, avviate a scala di bacino idrografico, hanno obiettivi “olistici”, tra cui: sostenere l’ecosistema, garantire l’approvvigionamento di acqua ad agricoltori, industriali e acquedotti, proteggere dalle inondazioni, produrre energia idroelettrica, trattare le acque reflue, assicurare la protezione della qualità delle acque e il mantenimento del deflusso minimo vitale, ripristinare l’assetto naturale del fiume (Blonquist, 2003; Downs e altri, 1991; Affeltranger, Lasserre, 2003). Queste finalità spesso sono in conflitto (per esempio, deviare e stoccare l’acqua di superficie in appositi impianti può aiutare ad affrontare la siccità, ma potrebbe non garantire il deflusso minimo vitale, fondamentale per la sopravvivenza dell’ecosistema) ma è possibile trovare compromessi che permettano la salvaguardia dell’ambiente acquifero e soddisfare le necessità antropiche. Condizione fondamentale è che vi sia, da parte dei soggetti coinvolti, la consapevolezza che gli scopi preposti possono essere complementari (Blonquist p.7; Moss,2003, p.4 ). A tal fine, il Contratto di Fiume, CdF, può contribuire all’attuazione della Direttiva 2000/60. Si tratta infatti di uno strumento di programmazione negoziata (Bobbio, Saroglia, 2008), nato in Francia all’inizio degli anni ‘80, che prevede il coinvolgimento degli stakeholder, pubblici e privati, per l’elaborazione e l’attuazione di politiche di riqualificazione e valorizzazione dell’ambito fluviale e perifluviale. Un accordo che permette di “adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale, intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale” (definizione adottata al secondo World Water Forum svoltosi a L’Aia nel 2000). Il Contratto è uno strumento per l’attuazione di politiche idriche integrate, il cui elemento cardine è il processo partecipato, che attraverso modalità tipiche della democrazia deliberativa, definisce le azioni da compiere, i soggetti responsabili, i tempi e i finanziamenti necessari per la realizzazione di tali azioni. Obbiettivo di questo lavoro è capire se i processi partecipati, PP, avviati all’interno dei CdF, siano strumenti adeguati per l’attuazione della WFD. L’analisi di questi processi è stata elaborata a partire dalle categorie di vizi e virtù individuate da Pellizzoni (2005) ed ulteriormente articolate da chi scrive. Il lavoro di ricerca è articolato in due parti. La prima parte, “Normativa di rifermento e elementi teorici”, fornisce il quadro generale entro cui collocare i Contratti di Fiume, ed è suddivisa in tre capitoli. Il primo, “Processi partecipati nelle politiche di gestione della risorsa idrica: il quadro normativo”, introduce la WFD - soffermandosi sugli aspetti riguardanti il coinvolgimento dei portatori d’interesse per la sua attuazione - e il Testo Unico ambientale, la legge italiana che recepisce la Direttiva 2000/60. Questo capitolo, oltre a specificare il complesso quadro normativo di riferimento per i Contratti di Fiume, mira sia a mettere in evidenza le incongruenze presenti tra la normativa europea e quella italiana, che rendono questa materia complessa e di non facile attuazione, sia a sottolineare l’importanza, per il legislatore, della diffusione delle informazioni, della consultazione e della partecipazione attiva degli stakeholder per l’attuazione delle politiche di gestione integrata della risorsa idrica Il capitolo 2, “I Contratti di Fiume per la gestione partecipata delle risorse idriche”, presenta i CdF italiani, strumenti che realizzano processi partecipati per la definizione di politiche idriche integrate. Dal 2004, in Italia, sono stati avviati una quarantina di CdF i quali, nonostante l’impegno profuso dalle istituzioni coinvolte, si presentano come esperimenti di un approccio olistico e partecipato, piuttosto che pratiche strutturate per una reale azione di governance verticale e orizzontale. La mancanza di una chiara regolamentazione infatti non aiuta la definizione e l’attuazione di questi processi. Infine, il terzo capitolo, “Processi partecipati per l’elaborazione delle politiche pubbliche”, presenta gli elementi distintivi dei processi partecipati, espressione della democrazia deliberativa e strutturati secondo regole condivise, esplicandone i vizi e le virtù, a partire dalle definizioni date da Pellizzoni (2005) ed ulteriormente articolate, al fine di chiarire le categorie in base alle quali sono analizzati i Contratti di Fiume nei paragrafi successivi. La seconda parte è incentrata sull’esame dei casi studio scelti. Il capitolo 4, “Metodologia di analisi dei casi studio”, illustra il metodo scelto per l’analisi dei due casi studio - il Contratto di Fiume del Sangone e il Contratto di Fiume del Panaro - che adotta, come strumento di indagine, oltre ai documenti ufficiali, interviste semi-strutturate sottoposte ad alcuni attori chiave dei due CDF. Questa scelta è dettata dal fatto che questo approccio permette di indagare giudizi, valori e opinioni - elementi che dai documenti ufficiali raramente traspaiono - relativi ai processi oggetto di studio. I capitoli 5 e 6, rispettivamente “Il Contratto del Torrente Sangone: un processo partecipato fortemente top down, Il Contratto di Fiume del Torrente Panaro: un piccolo territorio per un grande progetto”, analizzano i due CdF scelti come casi studio e sono articolati in modo analogo: - ricostruzione di un quadro delle reti e dei rapporti esistenti tra i soggetti del territorio e delle politiche di riqualificazione presenti nel bacino, al fine di comprendere le dinamiche che hanno portato all’avvio del Contratto; - presentazione della struttura del CdF (organizzazione, fasi, attori coinvolti) degli obiettivi e del Piano di azione; - analisi del processo, a partire dalla interviste semi-strutturate, per individuare la presenza o l’assenza dei vizi e delle virtù presentate nel capitolo 3. Dalle considerazioni finali del lavoro di ricerca emerge che i processi partecipati dei Contratti di Fiume sono realtà piuttosto articolate, che presentano numerosi limiti - difficilmente superabili in quanto elementi intrinseci alla struttura dei processi stessi - ma giudicati, nel complesso, in modo positivo dalla maggior parte dei partecipanti, in quanto occasioni per definire e attuare politiche condivise, per quanto fortemente influenzate dalle posizioni degli enti amministrativi. Sono processi che contribuiscono all’attuazione della Direttiva 2000/60 in termini di azioni di sensibilizzazione (e alcune azioni concrete) rispetto alle problematiche legate all’inquinamento dei corsi d’acqua, alla necessità di avviare un uso sostenibile della risorsa e alle potenzialità, anche in termini di risvolti economici, che la riqualificazione ambientale presenta. Si tratta però di un percorso alle prime battute che necessita di maggiore regolamentazione e attenzione da parte del potere politico e amministrativo.

"I processi partecipati nelle politiche di gestione integrata delle risorse idriche. Vizi e virtù nei Contratti di Fiumi italiani." / Guerra, SILVIA FRANCESCA. - STAMPA. - (2013).

"I processi partecipati nelle politiche di gestione integrata delle risorse idriche. Vizi e virtù nei Contratti di Fiumi italiani."

GUERRA, SILVIA FRANCESCA
2013

Abstract

La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n.20 del 23 ottobre 2000, Water Framework Directive (WFD), istituisce un quadro per l’azione comunitaria per la gestione integrata della risorsa idrica e indica come unità territoriale di riferimento il bacino idrografico. Le politiche dell’acqua, avviate a scala di bacino idrografico, hanno obiettivi “olistici”, tra cui: sostenere l’ecosistema, garantire l’approvvigionamento di acqua ad agricoltori, industriali e acquedotti, proteggere dalle inondazioni, produrre energia idroelettrica, trattare le acque reflue, assicurare la protezione della qualità delle acque e il mantenimento del deflusso minimo vitale, ripristinare l’assetto naturale del fiume (Blonquist, 2003; Downs e altri, 1991; Affeltranger, Lasserre, 2003). Queste finalità spesso sono in conflitto (per esempio, deviare e stoccare l’acqua di superficie in appositi impianti può aiutare ad affrontare la siccità, ma potrebbe non garantire il deflusso minimo vitale, fondamentale per la sopravvivenza dell’ecosistema) ma è possibile trovare compromessi che permettano la salvaguardia dell’ambiente acquifero e soddisfare le necessità antropiche. Condizione fondamentale è che vi sia, da parte dei soggetti coinvolti, la consapevolezza che gli scopi preposti possono essere complementari (Blonquist p.7; Moss,2003, p.4 ). A tal fine, il Contratto di Fiume, CdF, può contribuire all’attuazione della Direttiva 2000/60. Si tratta infatti di uno strumento di programmazione negoziata (Bobbio, Saroglia, 2008), nato in Francia all’inizio degli anni ‘80, che prevede il coinvolgimento degli stakeholder, pubblici e privati, per l’elaborazione e l’attuazione di politiche di riqualificazione e valorizzazione dell’ambito fluviale e perifluviale. Un accordo che permette di “adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale, intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale” (definizione adottata al secondo World Water Forum svoltosi a L’Aia nel 2000). Il Contratto è uno strumento per l’attuazione di politiche idriche integrate, il cui elemento cardine è il processo partecipato, che attraverso modalità tipiche della democrazia deliberativa, definisce le azioni da compiere, i soggetti responsabili, i tempi e i finanziamenti necessari per la realizzazione di tali azioni. Obbiettivo di questo lavoro è capire se i processi partecipati, PP, avviati all’interno dei CdF, siano strumenti adeguati per l’attuazione della WFD. L’analisi di questi processi è stata elaborata a partire dalle categorie di vizi e virtù individuate da Pellizzoni (2005) ed ulteriormente articolate da chi scrive. Il lavoro di ricerca è articolato in due parti. La prima parte, “Normativa di rifermento e elementi teorici”, fornisce il quadro generale entro cui collocare i Contratti di Fiume, ed è suddivisa in tre capitoli. Il primo, “Processi partecipati nelle politiche di gestione della risorsa idrica: il quadro normativo”, introduce la WFD - soffermandosi sugli aspetti riguardanti il coinvolgimento dei portatori d’interesse per la sua attuazione - e il Testo Unico ambientale, la legge italiana che recepisce la Direttiva 2000/60. Questo capitolo, oltre a specificare il complesso quadro normativo di riferimento per i Contratti di Fiume, mira sia a mettere in evidenza le incongruenze presenti tra la normativa europea e quella italiana, che rendono questa materia complessa e di non facile attuazione, sia a sottolineare l’importanza, per il legislatore, della diffusione delle informazioni, della consultazione e della partecipazione attiva degli stakeholder per l’attuazione delle politiche di gestione integrata della risorsa idrica Il capitolo 2, “I Contratti di Fiume per la gestione partecipata delle risorse idriche”, presenta i CdF italiani, strumenti che realizzano processi partecipati per la definizione di politiche idriche integrate. Dal 2004, in Italia, sono stati avviati una quarantina di CdF i quali, nonostante l’impegno profuso dalle istituzioni coinvolte, si presentano come esperimenti di un approccio olistico e partecipato, piuttosto che pratiche strutturate per una reale azione di governance verticale e orizzontale. La mancanza di una chiara regolamentazione infatti non aiuta la definizione e l’attuazione di questi processi. Infine, il terzo capitolo, “Processi partecipati per l’elaborazione delle politiche pubbliche”, presenta gli elementi distintivi dei processi partecipati, espressione della democrazia deliberativa e strutturati secondo regole condivise, esplicandone i vizi e le virtù, a partire dalle definizioni date da Pellizzoni (2005) ed ulteriormente articolate, al fine di chiarire le categorie in base alle quali sono analizzati i Contratti di Fiume nei paragrafi successivi. La seconda parte è incentrata sull’esame dei casi studio scelti. Il capitolo 4, “Metodologia di analisi dei casi studio”, illustra il metodo scelto per l’analisi dei due casi studio - il Contratto di Fiume del Sangone e il Contratto di Fiume del Panaro - che adotta, come strumento di indagine, oltre ai documenti ufficiali, interviste semi-strutturate sottoposte ad alcuni attori chiave dei due CDF. Questa scelta è dettata dal fatto che questo approccio permette di indagare giudizi, valori e opinioni - elementi che dai documenti ufficiali raramente traspaiono - relativi ai processi oggetto di studio. I capitoli 5 e 6, rispettivamente “Il Contratto del Torrente Sangone: un processo partecipato fortemente top down, Il Contratto di Fiume del Torrente Panaro: un piccolo territorio per un grande progetto”, analizzano i due CdF scelti come casi studio e sono articolati in modo analogo: - ricostruzione di un quadro delle reti e dei rapporti esistenti tra i soggetti del territorio e delle politiche di riqualificazione presenti nel bacino, al fine di comprendere le dinamiche che hanno portato all’avvio del Contratto; - presentazione della struttura del CdF (organizzazione, fasi, attori coinvolti) degli obiettivi e del Piano di azione; - analisi del processo, a partire dalla interviste semi-strutturate, per individuare la presenza o l’assenza dei vizi e delle virtù presentate nel capitolo 3. Dalle considerazioni finali del lavoro di ricerca emerge che i processi partecipati dei Contratti di Fiume sono realtà piuttosto articolate, che presentano numerosi limiti - difficilmente superabili in quanto elementi intrinseci alla struttura dei processi stessi - ma giudicati, nel complesso, in modo positivo dalla maggior parte dei partecipanti, in quanto occasioni per definire e attuare politiche condivise, per quanto fortemente influenzate dalle posizioni degli enti amministrativi. Sono processi che contribuiscono all’attuazione della Direttiva 2000/60 in termini di azioni di sensibilizzazione (e alcune azioni concrete) rispetto alle problematiche legate all’inquinamento dei corsi d’acqua, alla necessità di avviare un uso sostenibile della risorsa e alle potenzialità, anche in termini di risvolti economici, che la riqualificazione ambientale presenta. Si tratta però di un percorso alle prime battute che necessita di maggiore regolamentazione e attenzione da parte del potere politico e amministrativo.
2013
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