Il finire del XVI secolo è congiuntura in cui emerge l’intreccio di competenze, artisti e maestranze dalla varia provenienza italiana: architetti come l’urbinate Francesco Paciotto, il ligure Domenico Ponsello, il lombardo-ticinese Pellegrino Tibaldi e l’orvietano Ascanio Vitozzi, ingegneri milanesi, giardinieri fiorentini e napoletani, scultori come il romano Andrea Rivalta e il toscano Francesco Mosca detto il Moschino. Sembra quindi che l’indirizzo seguito da Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I nel definire le coordinate urbanistiche della capitale, dell’architettura e dei giardini di corte, sia fortemente rivolto alle più importanti realtà italiane, capaci di fornire professionisti idonei alla creazione di una “immagine” dei “nuovi” attori apparsi sulla scena della penisola. Carlo Emanuele I bandisce un concorso per il nuovo Palazzo Ducale aperto ai “valent’uomini” italiani. Palladio, in precedenza, dedica uno dei quattro libri a Emanuele Filiberto, e se questo può sembrare un tentativo di procacciarsi incarichi, è altrettanto sintomo della lettura della committenza come attenta e orientata al nuovo. La ricerca della modernità e dell’aggiornamento passa quindi attraverso un’architettura che fa del rapporto con l’antico un dato essenziale. Gli inventari delle sculture presenti nei giardini di corte (nella capitale e nel Regio Parco) confermano l'attenzione verso queste tematiche, in un contesto di giardino all'italiana che solo in una fase successiva inizierà ad accogliere elementi francesi. Di certo gli elementi caratterizzanti di questa fase fondativa - al di là della loro origine - diventano invarianti nel volto della città capitale e delle residenze: la pianificazione urbanistica, la maglia quadrangolare della struttura urbana, gli assi rettori e le piazze, le facciate uniformi a timpani reiterati, i portici. Questa continuità ha concesso al Barocco – nell’ambito della storiografia critica - di impadronirsi della fase precedente, relegandola a semplice premessa, così come ha sussunto il Neoclassicismo settecentesco in qualità di epigono. I fenomeni vanno invece ricondotti nella loro naturale periodizzazione. Se nel secondo Cinquecento è forte la ricerca di una identità italiana attraverso l'apporto di figure provenienti dalla penisola e l'adesione chiara a modelli del tutto italiani, non solo nei giardini, nel primo cinquantennio del XVII secolo, al contrario della fase “fondativa” emergono invece figure locali come gli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte, le cui realizzazioni si evidenziano come filtro delle esperienze francesi o romane in ragione della diversa committenza. Ruolo emblematico di questa fase rivestono il castello del Valentino (dal 1620), i cui padiglioni sono diretta discendenza del Pavillon de Flore del Louvre, e il complesso di Venaria Reale (dal 1659) incardinato nella cultura delle ville e dei giardini romani, con particolare riferimento agli interventi del Vasanzio.

La costruzione dell'identità 'italiana' del ducato di Savoia a cavallo tra XVI e XVII secolo: il ruolo dei giardini / Cornaglia, Paolo - In: Architettura e identità locali / Corrain L., Di Teodoro F.P.. - STAMPA. - Firenze : Leo S. Olshki, 2013. - ISBN 9788822262837. - pp. 455-475 [10.1400/231274]

La costruzione dell'identità 'italiana' del ducato di Savoia a cavallo tra XVI e XVII secolo: il ruolo dei giardini

CORNAGLIA, Paolo
2013

Abstract

Il finire del XVI secolo è congiuntura in cui emerge l’intreccio di competenze, artisti e maestranze dalla varia provenienza italiana: architetti come l’urbinate Francesco Paciotto, il ligure Domenico Ponsello, il lombardo-ticinese Pellegrino Tibaldi e l’orvietano Ascanio Vitozzi, ingegneri milanesi, giardinieri fiorentini e napoletani, scultori come il romano Andrea Rivalta e il toscano Francesco Mosca detto il Moschino. Sembra quindi che l’indirizzo seguito da Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I nel definire le coordinate urbanistiche della capitale, dell’architettura e dei giardini di corte, sia fortemente rivolto alle più importanti realtà italiane, capaci di fornire professionisti idonei alla creazione di una “immagine” dei “nuovi” attori apparsi sulla scena della penisola. Carlo Emanuele I bandisce un concorso per il nuovo Palazzo Ducale aperto ai “valent’uomini” italiani. Palladio, in precedenza, dedica uno dei quattro libri a Emanuele Filiberto, e se questo può sembrare un tentativo di procacciarsi incarichi, è altrettanto sintomo della lettura della committenza come attenta e orientata al nuovo. La ricerca della modernità e dell’aggiornamento passa quindi attraverso un’architettura che fa del rapporto con l’antico un dato essenziale. Gli inventari delle sculture presenti nei giardini di corte (nella capitale e nel Regio Parco) confermano l'attenzione verso queste tematiche, in un contesto di giardino all'italiana che solo in una fase successiva inizierà ad accogliere elementi francesi. Di certo gli elementi caratterizzanti di questa fase fondativa - al di là della loro origine - diventano invarianti nel volto della città capitale e delle residenze: la pianificazione urbanistica, la maglia quadrangolare della struttura urbana, gli assi rettori e le piazze, le facciate uniformi a timpani reiterati, i portici. Questa continuità ha concesso al Barocco – nell’ambito della storiografia critica - di impadronirsi della fase precedente, relegandola a semplice premessa, così come ha sussunto il Neoclassicismo settecentesco in qualità di epigono. I fenomeni vanno invece ricondotti nella loro naturale periodizzazione. Se nel secondo Cinquecento è forte la ricerca di una identità italiana attraverso l'apporto di figure provenienti dalla penisola e l'adesione chiara a modelli del tutto italiani, non solo nei giardini, nel primo cinquantennio del XVII secolo, al contrario della fase “fondativa” emergono invece figure locali come gli architetti Carlo e Amedeo di Castellamonte, le cui realizzazioni si evidenziano come filtro delle esperienze francesi o romane in ragione della diversa committenza. Ruolo emblematico di questa fase rivestono il castello del Valentino (dal 1620), i cui padiglioni sono diretta discendenza del Pavillon de Flore del Louvre, e il complesso di Venaria Reale (dal 1659) incardinato nella cultura delle ville e dei giardini romani, con particolare riferimento agli interventi del Vasanzio.
2013
9788822262837
Architettura e identità locali
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