L’oggetto di questo lavoro riguarda lo studio, a partire dai primi anni 2000, dei luoghi creativi emersi in Cina, come dinamica di valorizzazione economica, ambientale e sociale di alcune aree dismesse di carattere prevalentemente industriale, all’interno del tessuto urbano. In Occidente questo fenomeno si pone in un filone vivo di rinnovamento della città attraverso la trasformazione dei distretti industriali. Nel XIII Piano Quinquennale (2016-2020) la Cina ha avanzato una strategia di revisione del proprio sistema industriale teso a migliorare l’uso delle risorse fisiche e sociali ed a puntare a una crescita più inclusiva e sostenibile, cosicché il tema della ristrutturazione industriale, connesso alla rigenerazione urbana, è diventato una questione di forte attualità. Nella complessità del cambiamento cinese, accanto alle molte pratiche di pianificazione autoritaria, si sono affiancate esperienze di progetto urbano più sensibili ai luoghi specifici e alla valorizzazione della memoria fisica. Mentre in Occidente, questa attitudine “dialogica” del progetto si fonda su una tradizione lunga trent’anni, in Cina sta emergendo, soltanto di recente, una nuova attenzione al patrimonio urbano nel suo complesso e non più unicamente rivolta ai monumenti storici ritenuti significativi. Lo studio dello stato attuale e delle potenzialità delle danwei, o “unità di lavoro”, sebbene richiami una stagione urbana spesso dimenticata, permette di analizzare il ruolo che l’eredità industriale maoista può assumere nel rinnovamento della città contemporanea cinese. Le danwei industriali si rivelano il teatro privilegiato dei luoghi creativi, dove si sperimenta il cambiamento culturale della città contemporanea cinese. Si scopre come il valore dei luoghi creativi non risieda solo nel potenziale di sviluppo economico di queste aree, ma nel loro valore intrinseco, come dispositivo innovativo per la conservazione e la promozione del patrimonio fisico e culturale. La riqualificazione delle aree produttive dismesse, ma recuperate attraverso la tutela e il riuso degli spazi industriali, indica la via per una trasformazione incrementale della città, che contrasta con un tipo di urbanizzazione realizzata occupando ampie parti esistenti di tessuto urbano. Questi luoghi diventano strumenti per il cambiamento culturale della città, in quasi totale autonomia rispetto alla pianificazione convenzionale urbana cinese. Tali sperimentazioni introducono nuove tipologie spaziali e pratiche urbane, che si configurano potenzialmente come luoghi di resistenza e di pianificazione negoziata. L’anatomia del cambiamento suggerisce come il carattere tecnocratico della pianificazione cinese sia mutato di fronte alle recenti sfide poste dalla città contemporanea. Dato il prototipo della reinvenzione dell’area 798 in maniera inattesa, il lavoro di ricerca si concentra su quelle trasformazioni stimolate dal XI Piano Quinquennale del 2006. Il fenomeno viene approfondito nell’area di Pechino, Shanghai e del Pear River Delta con uno sguardo rivolto ai territori più interni della Cina, lungo l’asse di sviluppo della nuova urbanizzazione, individuato nella strategia “One Belt One Road” del XIII Piano Quinquennale. In questa prospettiva la tesi sostiene l’ipotesi che lo sviluppo dei luoghi creativi non favorisca solo una riqualificazione delle aree industriali dismesse, ma assuma un ruolo decisivo all’interno di processi più vasti di trasformazione urbana, dai quali emergono nuovi meccanismi di governance urbana. La pura conservazione e il riuso adattativo del patrimonio fisico si rivelano spesso una tattica efficace per innescare processi di valorizzazione immobiliare, di sviluppo economico, di esaltazione di un’idea di patrimonio spesso promozionale e politica, oltre a produrre modelli innovativi per flessibilità d’uso e distribuzione, utili a nuovi interventi di rigenerazione urbana. La prima operazione è stata quella di smontare gli stereotipi e le semplificazioni nate attorno all’affermazione in Occidente di pochi casi celebri (come 798 di Pechino o M50 a Shanghai), per poi rimontare un quadro interpretativo attraverso l’individuazione di alcune tattiche di trasformazione, ricorrenti sulla base di un più ampio panorama di casi di studio. Lo sviluppo postindustriale dei siti produttivi non comporta solo un semplice cambiamento di funzione, un miglioramento delle infrastrutture e un aumento della rendita fondiaria, ma diventa un laboratorio per progettare nuovi modi di costruire lo sviluppo urbano, in cui intervengono una pluralità di attori. Lo studio delle tattiche di ristrutturazione dei siti urbani conduce anche a una riflessione sulla negoziazione di questi spazi: quali sono gli attori e i principali responsabili delle decisioni adottate, come sono disciplinate le relazioni tra i diversi stakeholders, quali sono gli obiettivi perseguiti, le motivazioni e i modi attraverso i quali vengono intrapresi nuovi percorsi urbani. Sebbene il rapido sviluppo delle città cinesi sia spesso descritto come un processo difficile da cogliere appieno, sia dagli stessi abitanti sia da osservatori esterni alla città; recentemente, un numero crescente di scritti e di analisi visive ha iniziato a sostenere l’idea che alcuni degli aspetti più rilevanti delle città asiatiche possano essere meglio afferrati osservandole dall’interno. L’approccio della ricerca si fonda sull’idea che piccole tracce permettano di comprendere più ampie trasformazioni culturali e sociali. Questa nuova prospettiva apre all’opportunità di “raccontare” e quindi “documentare” luoghi, progetti e processi nell’ottica del cambiamento. Tuttavia, questa operazione non è scontata in un contesto urbano che si trasforma non solo nei tratti fisici, ma anche nelle consuetudini e nei modi di raggiungere accordi e risultati. “Documentare” la città non consiste solo in un’analisi propedeutica, ma dichiara una precisa intenzione progettuale: descrivere una città stratificata, registrarne la complessità per favorire una pianificazione ricca e consapevole. La scelta di osservare la trasformazione di ex danwei industriali in luoghi creativi all’interno della città contemporanea, risulta particolarmente adatta per conseguire questo obiettivo. Il ritmo con cui la Cina sta cambiando è più veloce rispetto al tempo normalmente necessario per svolgere una ricerca urbana, in grado di restituire la pluralità e la complessità della trasformazione urbana. Una pluralità che deriva dalla molteplicità di attori coinvolti nel processo e portatori di interessi diversi, che, a loro volta, producono un’eterogeneità di documenti conformi alle loro esigenze. L’osservazione della città dall’interno si scontra anche con la difficoltà nell’accesso diretto alle fonti e nel confronto con le complesse procedure reali, quando si tenta di documentare contesti fisici. Tutto ciò rende la città difficile e richiede un approccio lento e paziente dell’osservatore non cinese. La tesi trasforma i limiti dell’attività di ricerca nel contesto cinese in un’occasione per un ripensamento della questione metodologica, attraverso esplorazione di una metodologia quali-quantitativa, che incrocia diversi tipi di fonti e tecniche di osservazione. Nelle “storie di patrimonio” si sperimenta l’ibridazione di differenti metodi: l’analisi dei dati, la ricerca sul campo e il confronto storico-critico; molteplici punti di vista: dall’interno e dall’esterno e diversi strumenti: disegni, diagrammi, fotografie e testi. Sebbene sia importante osservare le città da più vaste prospettive geografiche, economiche e politiche, l’attività di ricerca testa l’efficacia dello studio dei luoghi dall’interno, attraverso il ridimensionando della scala, il riconoscimento delle esperienze urbane specifiche, seguendo il consolidarsi o il dissolversi delle comunità. La tesi rivela come tale metodo possa essere utile al fine di costruire una visione più penetrante e sfumata delle trasformazioni cinesi.

Luoghi Creativi e Patrimonio Industriale nella Cina Contemporanea / Repellino, MARIA PAOLA. - (2016).

Luoghi Creativi e Patrimonio Industriale nella Cina Contemporanea

REPELLINO, MARIA PAOLA
2016

Abstract

L’oggetto di questo lavoro riguarda lo studio, a partire dai primi anni 2000, dei luoghi creativi emersi in Cina, come dinamica di valorizzazione economica, ambientale e sociale di alcune aree dismesse di carattere prevalentemente industriale, all’interno del tessuto urbano. In Occidente questo fenomeno si pone in un filone vivo di rinnovamento della città attraverso la trasformazione dei distretti industriali. Nel XIII Piano Quinquennale (2016-2020) la Cina ha avanzato una strategia di revisione del proprio sistema industriale teso a migliorare l’uso delle risorse fisiche e sociali ed a puntare a una crescita più inclusiva e sostenibile, cosicché il tema della ristrutturazione industriale, connesso alla rigenerazione urbana, è diventato una questione di forte attualità. Nella complessità del cambiamento cinese, accanto alle molte pratiche di pianificazione autoritaria, si sono affiancate esperienze di progetto urbano più sensibili ai luoghi specifici e alla valorizzazione della memoria fisica. Mentre in Occidente, questa attitudine “dialogica” del progetto si fonda su una tradizione lunga trent’anni, in Cina sta emergendo, soltanto di recente, una nuova attenzione al patrimonio urbano nel suo complesso e non più unicamente rivolta ai monumenti storici ritenuti significativi. Lo studio dello stato attuale e delle potenzialità delle danwei, o “unità di lavoro”, sebbene richiami una stagione urbana spesso dimenticata, permette di analizzare il ruolo che l’eredità industriale maoista può assumere nel rinnovamento della città contemporanea cinese. Le danwei industriali si rivelano il teatro privilegiato dei luoghi creativi, dove si sperimenta il cambiamento culturale della città contemporanea cinese. Si scopre come il valore dei luoghi creativi non risieda solo nel potenziale di sviluppo economico di queste aree, ma nel loro valore intrinseco, come dispositivo innovativo per la conservazione e la promozione del patrimonio fisico e culturale. La riqualificazione delle aree produttive dismesse, ma recuperate attraverso la tutela e il riuso degli spazi industriali, indica la via per una trasformazione incrementale della città, che contrasta con un tipo di urbanizzazione realizzata occupando ampie parti esistenti di tessuto urbano. Questi luoghi diventano strumenti per il cambiamento culturale della città, in quasi totale autonomia rispetto alla pianificazione convenzionale urbana cinese. Tali sperimentazioni introducono nuove tipologie spaziali e pratiche urbane, che si configurano potenzialmente come luoghi di resistenza e di pianificazione negoziata. L’anatomia del cambiamento suggerisce come il carattere tecnocratico della pianificazione cinese sia mutato di fronte alle recenti sfide poste dalla città contemporanea. Dato il prototipo della reinvenzione dell’area 798 in maniera inattesa, il lavoro di ricerca si concentra su quelle trasformazioni stimolate dal XI Piano Quinquennale del 2006. Il fenomeno viene approfondito nell’area di Pechino, Shanghai e del Pear River Delta con uno sguardo rivolto ai territori più interni della Cina, lungo l’asse di sviluppo della nuova urbanizzazione, individuato nella strategia “One Belt One Road” del XIII Piano Quinquennale. In questa prospettiva la tesi sostiene l’ipotesi che lo sviluppo dei luoghi creativi non favorisca solo una riqualificazione delle aree industriali dismesse, ma assuma un ruolo decisivo all’interno di processi più vasti di trasformazione urbana, dai quali emergono nuovi meccanismi di governance urbana. La pura conservazione e il riuso adattativo del patrimonio fisico si rivelano spesso una tattica efficace per innescare processi di valorizzazione immobiliare, di sviluppo economico, di esaltazione di un’idea di patrimonio spesso promozionale e politica, oltre a produrre modelli innovativi per flessibilità d’uso e distribuzione, utili a nuovi interventi di rigenerazione urbana. La prima operazione è stata quella di smontare gli stereotipi e le semplificazioni nate attorno all’affermazione in Occidente di pochi casi celebri (come 798 di Pechino o M50 a Shanghai), per poi rimontare un quadro interpretativo attraverso l’individuazione di alcune tattiche di trasformazione, ricorrenti sulla base di un più ampio panorama di casi di studio. Lo sviluppo postindustriale dei siti produttivi non comporta solo un semplice cambiamento di funzione, un miglioramento delle infrastrutture e un aumento della rendita fondiaria, ma diventa un laboratorio per progettare nuovi modi di costruire lo sviluppo urbano, in cui intervengono una pluralità di attori. Lo studio delle tattiche di ristrutturazione dei siti urbani conduce anche a una riflessione sulla negoziazione di questi spazi: quali sono gli attori e i principali responsabili delle decisioni adottate, come sono disciplinate le relazioni tra i diversi stakeholders, quali sono gli obiettivi perseguiti, le motivazioni e i modi attraverso i quali vengono intrapresi nuovi percorsi urbani. Sebbene il rapido sviluppo delle città cinesi sia spesso descritto come un processo difficile da cogliere appieno, sia dagli stessi abitanti sia da osservatori esterni alla città; recentemente, un numero crescente di scritti e di analisi visive ha iniziato a sostenere l’idea che alcuni degli aspetti più rilevanti delle città asiatiche possano essere meglio afferrati osservandole dall’interno. L’approccio della ricerca si fonda sull’idea che piccole tracce permettano di comprendere più ampie trasformazioni culturali e sociali. Questa nuova prospettiva apre all’opportunità di “raccontare” e quindi “documentare” luoghi, progetti e processi nell’ottica del cambiamento. Tuttavia, questa operazione non è scontata in un contesto urbano che si trasforma non solo nei tratti fisici, ma anche nelle consuetudini e nei modi di raggiungere accordi e risultati. “Documentare” la città non consiste solo in un’analisi propedeutica, ma dichiara una precisa intenzione progettuale: descrivere una città stratificata, registrarne la complessità per favorire una pianificazione ricca e consapevole. La scelta di osservare la trasformazione di ex danwei industriali in luoghi creativi all’interno della città contemporanea, risulta particolarmente adatta per conseguire questo obiettivo. Il ritmo con cui la Cina sta cambiando è più veloce rispetto al tempo normalmente necessario per svolgere una ricerca urbana, in grado di restituire la pluralità e la complessità della trasformazione urbana. Una pluralità che deriva dalla molteplicità di attori coinvolti nel processo e portatori di interessi diversi, che, a loro volta, producono un’eterogeneità di documenti conformi alle loro esigenze. L’osservazione della città dall’interno si scontra anche con la difficoltà nell’accesso diretto alle fonti e nel confronto con le complesse procedure reali, quando si tenta di documentare contesti fisici. Tutto ciò rende la città difficile e richiede un approccio lento e paziente dell’osservatore non cinese. La tesi trasforma i limiti dell’attività di ricerca nel contesto cinese in un’occasione per un ripensamento della questione metodologica, attraverso esplorazione di una metodologia quali-quantitativa, che incrocia diversi tipi di fonti e tecniche di osservazione. Nelle “storie di patrimonio” si sperimenta l’ibridazione di differenti metodi: l’analisi dei dati, la ricerca sul campo e il confronto storico-critico; molteplici punti di vista: dall’interno e dall’esterno e diversi strumenti: disegni, diagrammi, fotografie e testi. Sebbene sia importante osservare le città da più vaste prospettive geografiche, economiche e politiche, l’attività di ricerca testa l’efficacia dello studio dei luoghi dall’interno, attraverso il ridimensionando della scala, il riconoscimento delle esperienze urbane specifiche, seguendo il consolidarsi o il dissolversi delle comunità. La tesi rivela come tale metodo possa essere utile al fine di costruire una visione più penetrante e sfumata delle trasformazioni cinesi.
2016
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11583/2652236
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